mercoledì 2 dicembre 2009

Auschwits nella mente

Gli occhi chiari, il portamento mite e la voce rispettosa della giovane guida che ci accompagna nella visita al campo di concentramento di Auschwitz, rendono ancora più greve il momento. Visitare Auschwitz è fare i conti con il male strutturato, divenuto sistema. E ancora con tante domande: "Come si fa a calpestare la dignità di un essere umano, a ridurlo a cosa, a merce, a oggetto?"; "Perchè si è potuto arrivare a tanto?"; "Ha un limite la miseria dell'essere umano?"...

I visitatori, molti giovani, passano silenziosamente nelle ex caserme dell'esercito polacco, in quelle che furono le camere a gas e i forni crematori, tra i barattoli del gas Zyklon B e le migliaia di scarpe o capigliature appartenute ai prigionieri. E ancora sui binari di Birkenau, che portavano al campo i prigionieri stipati all'inverosimile.
Ma ciò che più fa effetto è pensare che quel suolo che si calpesta è stato attraversato realmente da uomini e donne barbaramente condannati, come anche da uomini infami, della peggiore specie. Ecco, mettersi nei panni di chi c'era lì tra il 1940 e il 1945... L'esperienza dei prigionieri deve essere stata davvero atroce. Non una prigionia di routine, ma una prigionia che profumava quotidianamente di morte, fatta di fretta, condizioni disumane, annullamento di ogni privacy, diarrea. Ma il vero carcere, devono essere stati i pensieri che, a differenza delle cose, non si possono facilmente rimuovere o spostare. Si può impazzire per il non-senso di una situazione nella quale si è costretti a sopravvivere.

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