sabato 20 marzo 2010

Stampa missionaria 2 (Nigrizia)

articolo pubblicato da 'Missioni OMI', n. 3, marzo 2010, p. 36-37


Stampa missionaria dove vai? / 2
Breve inchiesta sull’informazione missionaria in Italia

NIGRIZIA


di Pasquale Castrilli

Nigrizia è una delle più antiche riviste europee esclusivamente dedicate all’Africa e al mondo nero. Ha spesso avuto la fama di rivista di frontiera. Ne parliamo con l’attuale direttore, il comboniano Franco Moretti

Quali gli obiettivi attuali del mensile dei comboniani?
Cogliere momenti ed eventi specifici che articolano il tempo e aprono il ritmo dell’Africa, del sud del mondo, della chiesa e della sua missione, della politica e dell’economia mondiale. Lungo gli anni, Nigrizia si è sforzata di avvistare in tempo i problemi dell’Africa e della missione.
È altrettanto vero, però, che la rivista Nigrizia è “quella dei comboniani”. Dietro di essa c’è una schiera di uomini e donne che si sentono figli e figlie di S. Daniele Comboni, che ha vissuto per l’Africa e per la missione della chiesa in quel continente. Nigrizia riporta il loro modo di concepire e fare missione: i successi e i fallimenti, le speranze e le attese, le fiducie e le delusioni, le gioie, le rabbie, le lodi, le critiche... Nigrizia non fa che rendere conto di tutto ciò. Il giornalismo della rivista corrisponde allo stile di fare missione dei comboniani.

Che tipo di pubblico raggiunge?
I lettori di una volta sono rimasti pochi. Chi amava trovare nella pubblicazione racconti di vita missionaria, e forse anche esperienze un po’ ‘esotiche’, se non addirittura ‘gesta eroiche’ compiute da persone conosciute, oggi potrebbe trovarsi un poco a disagio quando sfoglia la nuova Nigrizia.
Già negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, del resto, arrivavano in redazioni numerose lettere di lamentela, perché la “cara rivista missionaria” stava diventando troppo “politica”. Le voci ospitate nella pagine di Nigrizia non erano soltanto quelle dei missionari italiani. Ora a parlare erano personalità africana, sia di chiesa che del mondo politico. Ed erano voci critiche nei confronti dell’Occidente. E questo sembrava a molti lettori una sorta di tradimento della tradizione della rivista.
Poi, negli anni Ottanta, Nigrizia causò altri sussulti negli animi di molti lettori, quando cominciò a portare al centro della discussione il ruolo delle forze politiche di casa nostra nella gestione del problema della fame in Africa. La rivista denunciò la malacooperazione all’interno del governo italiano.
Ma non ci sentivamo lontani dalla missione. Sulle nostri scrivanie c’erano splendide encicliche sociali della chiesa che ci assicuravano che quei temi, quelle problematiche erano al centro della missione. Giovanni Paolo II non si stancava di ripetere: «La dottrina sociale della chiesa è parte integrante dell’annuncio evangelico oggi». Sennonché, quella dottrina era (e probabilmente lo è tuttora) “il segreto della chiesa meglio mantenuto”. Guardare all’Africa e ai suoi problemi alla luce di questa insegnamento veniva giudicato “troppo politico”, “troppo sociale”, “troppo mondano”.

Cosa apprezzano maggiormente i lettori?
Nel volgere di due decenni, i lettori di Nigrizia sono mutati radicalmente. Forse è cambiata anche la rivista. Ma non c’è mai stato un tradimento dell’ideale prefissato dal comboniano che aveva firmato il primo editoriale del primo numero, in quel lontano gennaio 1883. L’Africa continua a rimanere al centro della preoccupazione della redazione.
È cambiata anche la missione. I comboniani e Nigrizia (inseparabili ormai da 127 anni!) hanno sempre sperimentato che la missione è puntualmente più ampia delle concezioni che hanno di essa. Sempre ‘al di là’, sempre un ‘di più’. Più grande di ogni luogo e di ogni situazione in cui, missionari del terzo millennio, vorremmo trattenerci. Più grande anche della stessa Africa, che amiamo come casa nostra.
Oggi nella grande missione della chiesa c’è anche la cosiddetta “missione alla rovescia”. Chi lavora in Africa sa bene che molti problemi sofferti in quel continente hanno le loro più profonde radici nel mondo occidentale e nello stile di vita che vi si conduce. E allora, la rivista non deve raccontare solo l’Africa lontana, le sue guerre dimenticate, i suoi milioni di profughi… Deve anche denunciare il nostro modo di vivere qui, che non aiuta affatto quel continente a uscire dalla povertà in cui tuttora languisce.
Qualcuno (anche dentro l’istituto) non condivide questo approccio. È un interrogarsi faticoso che causa anche sofferenze. Non però scompiglio, sgomento, infelicità. Perché, come ha scritto il gesuita francese Michel de Certeau (1925-1986), «la coincidenza fra le “partenze ricominciate”, i luoghi attraversati e il nostro essere stesso (noi siamo sempre al di là di noi stessi), definisce precisamente una pace».
E noi della redazione proviamo quasi un “senso di pace” quando, nell’Instrumentum laboris per il secondo Sinodo africano, leggiamo, tra le altre cose: «La chiesa denuncia un processo organizzato di distruzione dell’identità africana in atto col pretesto della modernità (…). Le multinazionali continuano a invadere gradualmente il continente per appropriarsi delle risorse naturali. Schiacciano le compagnie locali, acquistano migliaia d’ettari espropriando le popolazioni delle loro terre, con la complicità dei dirigenti africani. Inoltre, recano danno all’ambiente e deturpano il creato. (…) La sete di potere provoca il disprezzo di tutte le regole elementari di buon governo, utilizza l’ignoranza dei popoli, manipola le differenze politiche, etniche, tribali e religiose Forze internazionali… fomentano le guerre per la vendita delle armi».
C’è qualcuno che oserebbe dire che queste parole non sono “degne” di un documento ecclesiale?


(Box)
La Nigrizia nacque nel gennaio 1883, sostituendo gli Annali del Buon Pastore, fondati da Daniele Comboni undici anni prima. Preciso lo scopo: «Dare ai lettori notizie della nostra missione nell’Africa Centrale, sperando che esse valgano a informarli a sempre più efficace cooperazione della nostra opera». Da allora, senza mai un’interruzione, essa ha svolto con fedeltà il suo programma, a servizio di quell’Africa che l’autore del primo editoriale definiva, con un linguaggio che oggi suona superato (ma, forse, solo in parte), «la misera schiava dell’inferno e degli uomini».
Nel 1958, la rivista cambiò volto: cadde l’articolo nel titolo e mutò il formato (da bollettino a rotocalco). «Ma lo scopo rimane lo stesso» spiegò padre Enrico Bartolucci, il principale fautore dell’innovazione.
Le copie spedite ogni mese sono 22.000, solo per abbonamento. La redazione gestisce anche un sito web (http://www.nigrizia.it/) e distribuisce una Newsletter (7.000 copie). Nel 2009 si è aperta anche una radio web (http://www.afriradio.it/).

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