martedì 29 giugno 2010

Siamo chiesa missionaria

(articolo pubblicato dalla rivista SE VUOI, n. 3/2010)

SIAMO CHIESA MISSIONARIA

Se sono cristiano sono missionario:; che significa? Chi è il missionario per vocazione? Perchè devo partire? Quali sono le sfide che deve affrontare il missionario oggi?

di Pasquale Castrilli

Missione, parola impegnativa
La parola ‘missione’, e ciò a cui essa rimanda, ha esercitato sempre un fascino all’interno della Chiesa.
Ho la sensazione che fino al Concilio Vaticano II, si usasse con una certa parsimonia. Era una parola che veniva applicata soprattutto a contesti geografici precisi, all’apostolato della chiesa ‘ad gentes’, all’impegno verso i territori dove il Vangelo non era ancora stato annunciato. E anche i suoi derivati venivano usati con attenzione. Ad esempio la parola ‘missionario’, si utilizzava unicamente per coloro che, chiamati dal Signore con una speciale vocazione, donavano la loro vita per i bisogni dei più poveri, in contesti lontani dalla patria, dall’Italia e dall’Europa. Le Congregazioni religiose maschili e femminili come i Verbiti, i Missionari Comboniani, i Missionari Oblati di Maria Immacolata (OMI), le Francescane Missionarie di Maria, il Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), avevano per così dire la gestione esclusiva della parola missione.
In questi ultimi trent’anni c’è stata una sorta di evoluzione, sia della realtà che la parola ‘missione’ esprime, sia naturalmente del suo uso. Le frontiere della missione della Chiesa si sono indubbiamente allargate. I Papi e i vescovi usano, nei loro discorsi, terminologie missionarie anche per le antiche comunità cristiane dell’Europa dove la scristianizzazione vede impegnata la Chiese in progetti intelligenti di annuncio del Vangelo.
Sempre di più assistiamo ad un uso più libero e più ampio della parola ‘missione’. Per cui ad esempio l’aggettivo ‘missionario’ lo troviamo abbinato a parole come ‘parrocchia’ come ‘catechista’, come ‘percorso’, come ‘pastorale’ e dunque abbiamo la parrocchia missionaria, il catechista missionario, la pastorale missionaria…

La Missione della Chiesa oggi
Se da una parte è interessante notare che la Chiesa si è appropriata maggiormente del temine ‘missione’, dobbiamo dirci che c’è un rischio dietro l’angolo: se tutto diventa missione, se c’è un uso largo di questo termine, niente è più missione. E se abbiniamo questa parola dappertutto, perché è una parola bella che evoca totalitarietà, radicalismo cristiano e impegno, le facciamo probabilmente perdere il suo significato e il suo valore più profondo.
E’ vero che la Chiesa o è missionaria o non è, e un cristiano o è annunciatore di Cristo o cristiano non è. Dobbiamo però domandarci quali siano le frontiere e le sfide della missione della Chiesa oggi, all’inizio del terzo millennio.
Credo che ‘missione’ ai giorni nostri abbia dei significati più ampi rispetto al passato. Penso che la missione in un contesto come quello odierno delle società secolarizzate e scristianizzate sia ad esempio molto esigente e difficile. E’ fuori di ogni dubbio che oggi la missione della Chiesa è più ampia rispetto a quanto potesse essere solo cinquant’anni fa. Si tratta di annunciare Cristo in società secolarizzate, nella quali il mito della libertà e del benessere condizionano le scelte, in società in cui i mezzi di comunicazione e le tecnologie hanno un ruolo preponderante. Il mondo è chiaramente cambiato e anche le frontiere missionarie della chiesa sono cambiate e si sono ampliate. Inoltre la realtà missionaria è sempre più patrimonio delle chiese locali, per cui osserviamo, soprattutto nel centro nord dell’Italia la tradizione di sacerdoti diocesani fidei donum, la nascita di nuove congregazioni missionarie, l’impegno di volontariato di giovani e adulti con tempi medio-lunghi nei paesi del sud del mondo.

Gli ingredienti della missione
Perché la parola ‘missione’ non sia allora annacquata e non perda il suo vigore, restano, a mio parere necessari alcuni ingredienti.Innanzitutto la vocazione missionaria che è una chiamata precisa ad uscire dalla propria terra e ad andare, come nel caso di Abramo, ad essere preti e consacrati per la missione, lontani dalla propria patria. In un epoca frammentata e un po’ ripiegata, come quella attuale, la vocazione missionaria sta attraversando un’enorme crisi. I seminari degli Istituti missionari sono praticamente vuoti, mi riferisco all’Italia e all’Europa. La vocazione missionaria è certamente esigente o forse scomoda, ma certamente non può essere smarrita. Se la chiesa perde questa vocazione e non indica ai giovani anche la possibilità di una consacrazione per la missione ad gentes, per il servizio ai più poveri, la Chiesa perde un grande patrimonio di storia, ma anche di attualità dal momento che, come dicono spesso i vescovi italiani, la missione ad gentes può essere paradigma, cioè modello, della missione in Italia. Alla domanda “Ha senso ancora oggi partire missionari?” non possiamo che dare una risposta positiva.
Un secondo ingrediente della missione è, a mio modo di vedere, l’annuncio kerygmatico cioè l’annuncio della sintesi della fede cristiana: Gesù Cristo, Signore e Salvatore. Il missionario si impegna a farsi capire, ad essere chiaro e sintetico nell’esposizione delle fede, ad essere un testimone prima ancora che un uomo che usa le parole. La Chiesa ha bisogno di annuncio, perché la fede nasce dall’annuncio e i missionari sono un po’ specialisti in questo ambito.
Anche nei paesi di antica cristianità, la figura del missionario ad intra, impegnato nella predicazione e nella nuova evangelizzazione, aveva e ha una sua ragion d’essere. Il ministero della predicazione era in passato molto più sviluppato rispetto ad oggi. I predicatori, che venivano invitati nelle parrocchie per momenti straordinari di annuncio, per ritiri parrocchiali, per le missioni al popolo, o in altre occasioni davano un contributo al rinnovamento della fede di tutta la comunità cristiana. Questa figura del religioso predicatore ed evangelizzatore sta sempre più scomparendo in Italia. Sono sparuti i gruppi di religiosi che svolgono ancora questo ministero. Anche questa missionarietà ad intra, che tocca le frontiere della nuova evangelizzazione, del primo annuncio, si sta lentamente spegnendo ed è una perdita per la chiesa.
Un terzo ingrediente della missione è la capacità di incontro, di accoglienza reciproca di dialogo. In un’epoca un po’ chiusa e autoreferenziale, la missione insegna ad essere aperti alla ricchezza dell’altro. Ad essere esperti di umanità e di comunione.
Se si è arrivati a questi nodi critici c’è sicuramente qualche responsabilità degli Istituti missionari. In altre parole, è lecito chiedersi in cosa abbiano mancato i missionari. A volte forse gli Istituti hanno dato spazio a percorsi paralleli rispetto alle chiese diocesane per portare avanti le proprie opere missionarie e il proprio carisma. Ma la dialettica istituzione/carisma è sempre esistita e sempre esisterà in ambito ecclesiale.
Ciò che a me sembra invece più pregnante è forse la perdita di una certa radicalità evangelica, di una significativa vita comunitaria, di un sufficiente coraggio evangelico e pastorale. Oggi le nuove generazioni in Occidente sono più attratte da una vita religiosa contemplativa, dai monaci e dalle monache, piuttosto che da un vita religiosa attiva che ha forse smarrito una parte delle sue radici.

Pasquale Castrilli OMI
castrilli@tiscali.it
www.pasqualecastrilli.it

1 commento:

  1. Fino a qualche anno fa "partire missionario" significava portare Gesù a chi non lo conosceva affatto.Pertanto questo missionario,secondo me,ancora oggi rappresenta l'universalità della Chiesa e mostra il coraggio di alcune persone che lasciano proprio tutto affidandosi totalmente a Cristo,credendo fortemente alla sua promessa...lasciare tutto:sacca,bisaccia,sandali cioè anche l'essenziale per trovare Lui e portarlo al mondo.
    Certo oggi forse il mondo cosidetto ricco e apparentemente bastevole a se stesso,crede di poter fare a meno di Dio...qui comincia una nuova essenziale evangelizzazione:riportare nel cuore degli uomini Cristo,la cui presenza abbiamo dato per scontato fino a dimenticarcene,a trascurarlo fino a relegarlo in un posticino sempre più piccolo e che non ci dia fastidio.
    Abbiamo paura di Gesù e della sua parola,abbiamo paura di assumere le responsabilità del vero cristiano che è chiamato ad amare sempre e comunque.
    Solo la fede ci può rivelare la strada ed è per quella che prego

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