sabato 11 dicembre 2010

Stampa missionaria 8 (POPOLI)

(pubblicato da ‘Missioni OMI’, novembre 2010)

Stampa missionaria dove vai? / 8

Breve inchiesta sull’informazione missionaria in Italia

POPOLI

di Pasquale Castrilli

I Gesuiti non nascono come Istituto prettamente missionario. Ma a loro si deve la diffusione del Vangelo in numerose regioni del mondo. Nell’anno in corso si celebra il IV centenario della morte di Matteo Ricci che svolse la sua azione missionaria in Cina dove morì nel 1610.

La rivista missionaria dei gesuiti italiani si chiama Popoli e si è sempre distinta per eleganza e rigore. La qualità dei contenuti ben si sposa con le qualità tipografiche e grafiche. Popoli ha spesso pesentato ottimi reportage fotografici dai paesi di missione.

Una peculiarità della rivista dei gesuiti è che è diretta attualmente da un laico, Stefano Femminis, con il quale ci intratteniamo.

Quali gli obiettivi attuali della rivista che dirige?

Il mensile Popoli si fonda su una lunga storia (compiremo 100 anni nel 2015). Nello stesso tempo è una rivista che si è molto rinnovata quattro anni fa, sia sotto l’aspetto grafico, sia nella sua linea editoriale. Nel ripensare la rivista abbiamo cercato di riflettere su cosa significhi, oggi, essere una ‘rivista missionaria’, in relazione alle sfide del mondo contemporaneo: la globalizzazione, i flussi migratori, la secolarizzazione, il sorgere di fondamentalismi religiosi, ecc. Tutto questo cambia il concetto stesso di ‘missione’: più che parlare della “missione della Chiesa” è forse corretto parlare oggi della “Chiesa come missione”. Non esiste cioè una parte della Chiesa, un gruppetto di specialisti, che si deve occupare della missione: la Chiesa - lo ripete spesso anche il Papa - o è tutta missionaria o non è. E nemmeno si può più pensare che l’annuncio del Vangelo e della sua giustizia debba intendersi confinato alle cosiddette ‘terre di missione’, alla ‘missione estera’. La rivista riflette questo approccio universale, proprio dei gesuiti. Per cui su Popoli si possono certamente leggere articoli più classici sulla vita delle Chiese locali in Africa o in Asia, ma anche reportage relativi all’immigrazione o alle nuove povertà nel Nord del mondo, articoli su questioni di intercultura, esperienze di dialogo interreligioso, ecc.

Una breve storia di Popoli e la sua attuale tiratura.

Il nome originario della rivista, quando nacque nel 1915, era Missioni della Compagnia di Gesù. Nel 1970, grazie a un accordo con le Pontificie Opere Missionarie, la testata assunse il nome di Popoli e Missioni. Terminato l’accordo, dal 1987 la rivista ha preso il nome attuale. Dopo la lunga direzione di padre Giuseppe Bellucci, che negli anni Ottanta fece raggiungere la massima diffusione alla rivista, la direzione è stata assunta per un breve periodo da padre Giustino Bethaz e poi da padre Bartolomeo Sorge. Nel 2006 sono stato nominato direttore responsabile, primo laico nella storia della rivista e, se non sbaglio, nella storia delle principali riviste missionarie. Quanto alla diffusione, la scelta fatta in questi ultimi anni è di inviare la rivista solo a chi si dimostra davvero interessato, versando la quota di abbonamento. So che altri fanno una scelta diversa, ad esempio inviando la rivista a tutti coloro che fanno offerte per i missionari. Di conseguenza, la nostra tiratura non è elevatissima, ma le copie che inviamo sono, per così dire, ‘vere’. La tiratura poi varia se ci sono iniziative promozionali particolari. Diciamo comunque che siamo mediamente intorno alle 7-8 mila copie. Bisogna poi aggiungere le migliaia di lettori che ogni mese visitano il nostro sito www.popoli.info.

Che tipo di pubblico raggiunge Popoli?

A seguito di questo rinnovamento di cui parlavo, abbiamo un pubblico abbastanza eterogeneo. A livello anagrafico, c’è una fascia di lettori più anziani, fedeli alla rivista da molti anni (e senza il loro sostegno sarebbe difficile proseguire il nostro lavoro), ma anche diversi giovani o giovani-adulti, avvicinatisi alla rivista negli ultimi anni. Lo zoccolo duro sono le parrocchie, i gruppi missionari, le associazioni di volontariato, studenti e insegnanti. Ma non solo. Poiché la rivista intende essere luogo di dialogo, sappiamo che abbiamo lettori anche tra non cattolici, magari cristiani di altre confessioni, oppure persone in ricerca. Inoltre siamo molto seguiti da colleghi di altri organi di informazione, che spesso trovano sulla rivista spunti interessanti. Infine, di tanto in tanto lanciamo alcune campagne promozionali ad hoc: ne abbiamo fatta una con gli insegnanti di religione della diocesi di Milano, e un’altra presso le botteghe del commercio equo e solidale.

Cosa apprezzano maggiormente i lettori?

Non abbiamo fatto veri e propri sondaggi su questo, quindi è difficile rispondere. Da reazioni percepite qua e là, attraverso lettere e commenti, posso dire che è piaciuta la riforma grafica, che ha svecchiato la rivista e dà grande rilievo alle immagini, che selezioniamo con cura. Sicuramente è molto apprezzato lo sforzo di offrire un’informazione alternativa a quella dei grandi media: sappiamo quanto poco spazio i nostri telegiornali diano alle cosiddette ‘crisi dimenticate’, ai diritti negati, ma anche alle notizie positive sul Sud del mondo, sull’immigrazione, sul dialogo tra le fedi. Noi cerchiamo di riempire questo vuoto informativo. Inoltre credo venga vista favorevolmente l’apertura al dialogo con chi, interrogandosi in modo serio sulle questioni di fede, dà risposte diverse dalle nostre: una scelta che a volte ci costa anche qualche critica, a dire la verità, ma in cui ci sentiamo sostenuti da figure profetiche come quella del cardinale Martini.

Come vede la stampa missionaria in Italia oggi? Quale il suo ruolo?

Aggiungerei due osservazioni. La prima è che la stampa missionaria, se vuole avere credibilità e futuro, deve proseguire sulla strada intrapresa in questi ultimi anni: puntare sulla qualità e professionalità dell’informazione, riempire quel vuoto informativo di cui dicevo, darsi maggiori strumenti a livello promozionale, investire sulle nuove tecnologie (internet anzitutto). I bollettini per raccogliere offerte sono utilissimi e bisogna ringraziare chi aiuta i missionari, però l’informazione missionaria è un’altra cosa, e sfogliando molte riviste lo si vede.

La seconda cosa è più che altro una provocazione. Forse tra gli obiettivi della stampa missionaria c’è anche quello di essere occasione e strumento di evangelizzazione per gli stessi lettori: la mia impressione è che su alcune questioni centrali nella vita di fede - la promozione della giustizia, l’incontro con chi è ‘diverso’, la riscoperta dei fondamenti del cristianesimo per essere poi meno timorosi nel dialogo - sia oggi necessario ribadire alcuni punti fermi, nella linea del Concilio Vaticano II.

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