Cambiare significa sempre progredire?
La domanda è molto stimolante.
La domanda è molto stimolante.
Probabilmente non c’è una risposta unica. Potremmo
rispondere che dipende da un’infinita miriade di condizioni. Ma prima ancora
dipende da una visione della storia e della vita che ciascuno possiede, frutto
dell’educazione ricevuta, ma anche delle ferite che la vita ha riservato nel
corso degli anni.
Se rispondiamo di ‘no’ alla domanda abbiamo una visione statica
ancorata alla tradizione. Concepiamo la storia come un continuo ripetersi di
eventi: i corsi e ricorsi di vichiana memoria. Questa visione della vita porta
a pochi entusiasmi, ad un’amarezza che nulla può sconfiggere, ad un crudo
realismo. E ancora ad un distacco (sempre benefico) da cose e persone. E’ il
divino che guida gli eventi. C’è una dimensione passiva dell’essere umano che, pieno
di paure, subisce. Un fato che determina tutto. Decisioni prese da altri alle quali mi adeguo. Perchè faticare per ricercare un senso o impostare il presente?
Se rispondiamo ‘si’ alla domanda siamo in una dimensione di
fiducia nel futuro che comunque riteniamo sempre migliore del passato. Siamo
aperti all’imprevedibilità degli eventi, ci sembra di essere più protagonisti, meno ancorati a schemi rigidi che danno sicurezze, ma rischiano
di essere obsoleti. Anni fa avevo visto con interesse il film Into the wild. Il
protagonista affermava: “La gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove
esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in
costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso“.
Nessun commento:
Posta un commento
se desideri puoi lasciare un tuo commento