sabato 11 febbraio 2012

La panchina

A nessuno, credo, piaccia essere considerato una seconda scelta. Nelle avventure della vita, quando qualcuno ci chiede qualcosa o ci affida un incarico, pensiamo che siamo i primi ad essere avvisati o contattati. Eppure può capitare di sapere che per l'incarico che ci è stato assegnato era stato pensato prima di noi qualcun altro. Detto che fa onore a chi ti chiede, dirti tutto, compreso il nome di colui che veniva prima di te, credo che ci siano dei vantaggi a partire secondi. Aiuta a capire questo concetto la metafora di chi parte dalla panchina nel gioco del calcio. Per cominciare... 'la seconda scelta' non ha pressioni e responsabilità sulle spalle che rischiano di schiacciare e condizionare. Il che permette di avere su di sè meno occhi e sguardi. In secondo luogo chi parte dalla panchina non ha nulla da perdere e scende in campo con molta umiltà mettendosi a pieno servizio della squadra. Il panchinaro ha avuto anche modo di vedere il corso della partita dall'angolazione speciale del bordo campo e questo aiuta, forse, una volta in campo a cercare insieme ai compagni soluzioni migliori per il gioco di squadra.

Aveva giocato titolare per anni. Intere stagioni calcistiche nella squadra che lo aveva lanciato. Non aveva mai cambiato casacca, non era stato necessario.

Gli allenatori che si erano susseguiti (a dire la verità non tantissimi) gli avevano espresso sempre fiducia. In alcune stagioni Paolo era anche stato capocannoniere e per questo motivo aveva ricevuto varie proposte da squadre di altre nazioni. Non se l'era mai sentita di lasciare la sua amata provincia, dove si trovava bene, amato e rispettato.

Una domenica di qualche anno fa avvenne quello che ogni calciatore teme: un infortunio serio, di quelli che non ti aspetti. Il bello fu che l'infortunio di Paolo capitò non con un avversario, come succede normalmente, ma con... un compagno di squadra. Uno scontro molto duro che lascio' entrambi a terra per diversi minuti e fuori dai campi di gioco per lunghi mesi.

Attimi di apprensioni seguiti dall'operazione chirurgica, dalla degenza e poi, poco alla volta, da un lento recupero. Avrebbe voluto bruciare le tappe, Paolo. Ma non fu possibile. Non era più' giovanissimo e il fisico aveva i suoi tempi. A questi malanni fisici si aggiunsero, ben presto, la sensazione di inutilità' e di frustrazione e successivamente la tentazione di cambiare casacca e di porre fine alla carriera. D'altro canto cosi' avevano fatto illustri colleghi in simili condizioni.

Il mister in alcuni colloqui aveva provato a rincuorarlo e a dirgli che sia lui che la dirigenza, conoscendone i valori in campo e fuori, avrebbero atteso con fiducia il recupero e aspettato con lui il giorno in cui sarebbe tornato in campo. Ma la sensazione di sentirsi abbandonato da chi aveva creduto in lui, come anche da molti suoi compagni e colleghi, non riusciva a cacciarla dalla mente.

Tornando ad allenarsi, Paolo, aveva e recuperato un buon tono muscolare e una discreta condizione fisica. Aveva perso peso e anche la mente, poco alla volta, era ridiventata lucida. Si era cosi, accomodato in panchina osservando un gran numero di partite da quella particolare prospettiva che risulta dall'essere in campo senza esserlo effettivamente.

La vita del panchinaro gli stava stretta, ma la accettava con realismo. Il mister, forse per un certo rispetto, non gli diceva con chiarezza la situazione. Paolo, che amava il calcio forse come nient'altro, si sarebbe accontentato di giocare anche in tornei minori... L'importante per lui era stare in campo, sentire fiato e sudore e quell'adrenalina della squadra e della battaglia. Era fatto cosi: un combattente fragile, un agonista. Ora non era più' tanto questione di gloria, come quando aveva vent'anni, ma di significati profondi del vivere.

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